Contro la prepotenza istituzionale

Due (magari qualcosa di più) metri di neve; è l’inverno, siamo a 1000 m negli Appennini e fin qui tutto bene. Non riescono ad aprire la strada, nessun problema, figuriamoci, abbiamo viveri in abbondanza per molto tempo. Salta la corrente e rimaniamo senza per quattro giorni, una seccatura per il lavoro perso, ma il camino fa un gran caldo e le candele non mancano. Salta pure la rete mobile, pazienza, con calma si riesce comunque a mandare un sms ogni tanto a chi altrimenti si preoccuperebbe per noi. Pure la terra ce se mette, trema, non è certo una bella sensazione, ma anche per questo ci siamo preparati (per quanto possibile) e l’affrontiamo con serenità.
Poi la neve non cade più e cominciamo a spalare per ripristinare la cosiddetta normalità al più presto. Stiamo bene. Mi correggo, siamo di più, siamo felici, ricchi delle emozioni impetuose trasmesse dalla natura in veste estrema; più forti, perché sappiamo di aver affrontato al meglio i fenomeni naturali (e soprattutto i “disguidi tecnici”).
Poi proprio sul più bello, arriva l’ordinanza del sindaco. Dobbiamo evacuare per presunto rischio di valanghe. Il rischio oggettivamente non c’è (come poi confermato da esperti della Protezione Civile), ma vince la prepotenza istituzionale e dobbiamo per forza andarcene.
Così una nevicata pesante ma tranquillamente sopravvivibile si è trasformata in una “emergenza umana” del tutto evitabile. Cinque giorni buttati via inutilmente cercando di tornare a casa (e lavoro). Cinque giorni di ripicche, incompetenze e scaricamenti di responsabilità ad ogni livello istituzionale.
Poi finalmente il rientro a casa, 7 km sulle ciaspole, zaino in spalla, ma valeva la pena. Così eccomi qua… e non sto bene. No, non sto bene per niente, le prepotenze non mi vanno giù, e per di più, ho avuto modo di sperimentare direttamente sulla pelle un’ostilità che non avevo sospettato verso chi ha scelto di vivere la montagna in un altro modo, non come sacrificio, ma come privilegio, senza chiedere niente a nessuno. Ma proprio niente. Mi passerà l’arrabbiatura? Mi dispiace per chi invece ci ha dimostrato ospitalità, solidarietà e magari anche comprensione, ma non lo so, davvero non lo so.
E’ possibile che il mio destino sarà di crepare come risultato di un malanno mentre irraggiungibile qui fra i monti. Ne sono consapevole e prendo le mie responsabilità. E’ però MOLTO più possibile, direi quasi probabile, che uno di questi bei giorni mi scoppierà un’arteria per la frustrazione e il senso d’impotenza che provo davanti alle ottusità umane, a livello sia istituzionale, che individuale. Che coloro che si sentono obbligati a prendere responsabilità per la mia incolumità la tengano ben presente.